Nel caso di migrazioni sanitarie, spesso l’attenzione dei medici si concentra sui sintomi fisici della malattia dei pazienti.
È giusto che sia così, ma non bisogna sottovalutare anche le conseguenze della migrazione sui familiari caregivers.
Con uno studio statistico, nel 2017 la Fondazione Censis ha segnalato che in Italia ogni anno ci sono circa 640.000 caregivers che migrano insieme a persone malate a causa di ragioni sanitarie. La letteratura scientifica è concorde nel ritenere che la qualità di vita di queste persone sia inferiore rispetto a quella della popolazione generale. Alla bassa qualità di vita, poi, si associano condizioni di salute, sia mentale che fisica, maggiormente precarie. Ciò si rileva soprattutto in quei caregiver sottoposti a stress di lunga durata.
Da tenere in considerazione sono anche le spese economiche. I costi più rilevanti riguardano il vitto e l’alloggio. Se il 40% dei caregivers fa su e giù con la città di residenza, il 35% degli accompagnatori, ovvero circa 250.000 persone, si trattiene nella città del ricovero. Di questi il 30% sceglie di rimanere in un albergo o una pensione, il 15% si ferma presso conoscenti e solo il 10% trova accoglienza in case del privato sociale non a pagamento, insomma in strutture come le nostre dell’Associazione Andrea Tudisco.
Infine andrebbe aggiunto il costo delle giornate perse a causa del ricovero. Va specificato che nel 55% dei casi l’accompagnatore è escluso al mercato del lavoro (perché pensionato, casalinga o disoccupato), ma nei restanti casi l’assenza dal lavoro può protrarsi per vari giorni. Il 13% degli accompagnatori deve assentarsi per oltre 15 giorni, e un assenze di 10-15 giorni riguarda un altro 15%.
Circa il 4-5% degli accompagnatori è costretto ad affrontare serie conseguenze professionali. Si tratta di 20/30.000 persone che, oltre al disagio principale della malattia del congiunto (in questi casi spesso di tratta di un figlio), oltre alle spese economiche sostenute, vedono anche minacciata la loro fonte di reddito principale.